Grazie a questo sito so di essere una delle tante, ma per tanto tempo mi sono sentita sbagliata.
Sin dall’asilo ho subito le prepotenze dei bambini. Non so perché prendessero di mira proprio me. A chiunque dica che ho subito certe cose, stenta a crederci, perché ho sempre avuto un carattere espansivo, aperto, solare. Non sono obbiettivamente neanche brutta.
Non so grazie a quale radar ‘’scova soggetti’’ ( dalle mie parti si chiamano così quelli presi in giro) venissero ad attaccare proprio me. Calci, spintoni, pizzicotti, offese sul mio aspetto fisico, sul mio abbigliamento. Tuttavia, spesso bastava denunciare il fatto alle maestre e finiva lì.
Devo anche dire che ho ricordi belli: in mezzo a tanti idioti, un paio di compagni come me li trovai. Anche loro subivano, ma io ero la vittima prediletta: una volta addirittura un compagno mi schizzò l’inchiostro della propria penna rotta dentro a un occhio.
I miei amici provavano timidamente a difendermi, ma nessuno di noi era tanto forte da ribellarsi definitivamente ai più prepotenti. E provo ancora affetto per la maestra di italiano, che coltivò la mia passione per la scrittura.
Il vero incubo iniziò alle medie. Feci quattro mesi in una prima scuola, nella classe più turbolenta dell’istituto. Studiavo tantissimo, fino a mezzanotte, perché ci riempivano di compiti, ma non venivo mai interrogata. Quando i miei andarono ai colloqui, videro che avevo tutte insufficienze. Lo credo bene, non avevano mai sentito la mia voce! Era evidente che i prof non si ricordassero nemmeno chi fossi. Da qui la decisione di cambiare scuola. I miei mi fecero una raccomandazione:
‘’Mi raccomando, non dire a nessuno che hai cambiato scuola per i professori, dì che non andavi d’accordo con i compagni’’
Lo dissero in buona fede, ovviamente: per loro delle scaramucce con i compagni erano una cosa da poco, mentre il fatto dei professori mi avrebbe causato pregiudizi con i nuovi docenti. Questa scelta si rivelò sbagliata. Immaginatevi, essere vista come ‘’quella nuova, quella che ha subito bullismo’’ non è una buona presentazione. In quell’occasione conobbi Paola ( nome di fantasia) che mi rese la vita un incubo fino ai miei quattordici anni.
Paola era la bulla che non ti saresti mai aspettato. Era una bella ragazzina, la più bella della scuola. E anche la più brava. In classe tutti facevano ciò che diceva lei, ma appena si voltava, la insultavano. La cosa più strabiliante è che comandava anche i professori: decideva lei come studiare il programma, le gite da fare. I suoi atti di bullismo nei miei confronti iniziarono prendendomi in giro durante le interrogazioni, parlando nelle orecchie dei compagni e ridendo. Un giorno scoppiai in lacrime. Mia madre, che lavorava nella scuola, andò a parlare con una professoressa. Ci fu detto che certi atteggiamenti erano stati notati, ma che bisognava essere clementi con la ragazzina, perché i suoi genitori erano divorziati e lei non parlava più con la madre. Mi sembrava una cosa assurda, cosa c’entra avere i genitori divorziati? Ma stiamo parlando dei primi anni duemila, all’epoca non era una cosa frequente come ora. Tuttavia la docente riuscì a riappacificarci e in classe tornò il sereno, ma per poco.
In seconda media divenni vittima delle prepotenze di Vittorio e Lucio. I motivi? Una flatulenza che mi scappò in classe e…mia madre. Lei era (ed è) una donna molto bella, e da sempre mi sono sentita dire ‘’ma da una tale gnocca come sei uscita tu?’’ commenti che fanno male, ma in quel caso arrivarono a definire mia madre una poco di buono solo per il suo look molto curato. Paola rideva di questi insulti e spesso li istigava. Non ero una mammona, non ho mai detto nulla a mia madre, ma lavorando lei a scuola era inevitabile che intervenisse, vedendo certi episodi davanti ai suoi occhi. Finì anche quella storia, ma il peggio stava per arrivare.
In terza media Paola diede il peggio di sé. Arrivò a saltare sui banchi, derideva una prof come faceva con me.
Perchè nessuno diceva niente? Beh, la povera Paola, che già veniva trattata con i guanti per la situazione famigliare, ora sosteneva di vivere da sola, perché suo padre era andato a lavorare in un’altra regione e le mandava i soldi dell’affitto. Al termine della scuola scoprimmo che era una sciocchezza: in realtà era stata affidata a una vicina di casa, e il padre veniva tutti i fine settimana. Ma ahimè, tutti le credettero.
Un giorno, dopo l’ennesima sua presa in giro, sbottai, e le dissi tutto ciò che pensavo di lei: per me fu la fine.
Nessuno ebbe il coraggio di seguirmi. Quando tirai in ballo, gli altri, che sino al giorno prima avevano inventato canzoncine crudeli su di lei, si tirarono tutti indietro: vuoi solo mettere zizzania e ti inventi le cose.
Da quel giorno non potei dire una parola senza essere derisa: anoressica, scema, ti trucchi troppo, viziata, non hai vita sociale, sei sporca. Mi arrivavano pallonate in testa in palestra, Paola metteva le sue cose nel mio zaino e mi accusava di aver rubato, diceva ai professori che parlavo male di loro alle spalle e non era vero. Avevo il mal di pancia, piangevo sempre, in classe tremavo. Il culmine arrivò con una minaccia di morte: se fossi venuta in gita, avrei fatto una brutta fine. Ricordo quel giorno, il bagno della scuola, la sua voce pacata, il suo sguardo che non mentiva. Uscii in lacrime e chiamai mia madre, che senza dire nulla mi portò a casa.
Mio padre premette per andare dai carabinieri, mia madre, che aveva già provato a parlare con Paola ed era stata offesa da lei con un stai zitta cretina che ne so più di te, preferì discutere con i docenti che riteneva più affidabili: i due, coniugi, affrontarono Paola e comunicarono alla classe che non sarebbe andato in gita nessuno causa di un avvertimento così grave. Lei fece finta di piangere e tirò in ballo la sua presunta situazione, come faceva sempre. I professori si commossero e la consolarono, ma le fecero comunque presente che i suoi comportamenti erano sbagliati. Lei sembrò calmarsi e la tradizionale gita terza media di fu fatta ma preferii non andarci, e tuttora penso sia stata la scelta giusta.
Al suo ritorno, Paola riprese a prendermi in giro, e iniziò a farmi chiamate anonime con minacce di morte. Stetti così male da farmi la pipì addosso. Risposi a quelle chiamate, offendendola a mia volta. Lei le registrò, e con suo padre andò dal preside della scuola e raccontò la sua versione: ero io a tormentare lei. Mia madre fu chiamata in casa e aggredita dall’uomo, che la accusò di aver minacciato la figlia. Mia madre uscì piangendo, era arrabbiata con me ma soprattutto si sentiva denigrata, presa in giro da una ragazzetta di quattordici anni.
Come finì? Il preside disse di non poter far nulla, e comunque mancavano pochi giorni alla fine della scuola. Dopo gli esami di terza media, non la vidi più. Andò a vivere in Nord Italia, dove abitava prima di venire nel mio paese. Ci è stata tre anni, giusto il tempo di tormentare me.
Al liceo speravo di trovare la serenità, ma ormai la voce su di me si era sparsa: nessuno credeva alla mia versione dei fatti, essendo sola contro i miei compagni ipocriti e vigliacchi e ritenendo tutti Paola un mito. Cambiai scuola, ma in sincerità perché non mi piacevano le materie. Al professionale trovai alcuni amici, ma anche lì non mancarono i problemi, come un furto d’identità su facebook in terzo superiore.
Ti vergogni a raccontare queste cose, perché spesso non vieni creduta, ti senti dire ‘’se ti è sempre andata così, qualcosa hai’’.
Cos’ho? Sono sincera, spontanea, ho personalità. Ecco cos’ho. E i bulli in realtà ammirano quelli come noi.
Paola incuteva soggezione ai suoi coetanei, perché tra bugie e verità si era creata l’immagine di una ragazza che eccelleva in tutto, era benestante, prendeva il treno da sola, l’aereo da sola, era indipendente. In realtà era una squilibrata con complessi d’inferiorità che si era creata un suo regno in classe, e io per lei rappresentavo una minaccia, oltre che invidiarmi.
Oggi so che non sono sbagliata, e faccio parte di un’ associazione contro il bullismo.
Angie