Il bullismo può nascere in molti contesti, ma quello in cui si manifesta maggiormente è la scuola.
Ogni giorno i ragazzi che subiscono queste violenze tra le mura scolastiche sono tantissimi, troppi, e troppi sono quelli che scelgono il silenzio. Ma possibile che i professori non si accorgano di nulla, loro che dovrebbero vigilare e aiutare i giovani? Si può essere vittime di bullismo ad ogni età, a partire dall’asilo fino alle scuole superiori e spesso anche oltre, perché chi ne è vittima porta i segni dentro per tutta la vita.
Vi racconto la mia esperienza.
Ho iniziato ad odiare la scuola, ma non perché non avessi voglia di studiare, ma perché iniziai a sentirmi presto fuori posto, continuamente a disagio e sottoposta a giudizi, insulti, derisioni.
La scuola per me divenne un incubo, una prigione, una tortura. Quando entravo in quella struttura mi sentivo come in trappola, prigioniera. I due suoni che odiavo di più erano il suono della sveglia che ogni mattina dava inizio ad un nuovo, terribile, giorno e l’altro era il suono della campanella che dava segnava l’inizio alle persecuzioni, sottili e velate, delle mie compagne. Si, queste violenze psicologiche erano ben nascoste.
Fui isolata completamente dal loro “gruppo”, mi dicevano che non potevo sedere, parlare, giocare con loro. Dovevo restarmene da sola e più io ero triste più loro erano felici. Le bulle riuscirono a mettere tutta la classe contro di me, a dire ai miei compagni di non rivolgermi la parola, altrimenti sarebbero stati le prossime vittime. Nessuno si sarebbe mai sognato di venirmi a parlare o di sedere vicino a me, perché significava condannarsi ad essere una delle loro prede e apparire come
“sfigati”, “diversi” ed essere esclusi.
Ogni volta che camminavo tra quelle mura sentivo i loro occhi cattivi puntati addosso, facevano smorfie, mi guardavano dall’alto in basso giudicando come mi vestivo,
come mi muovevo, il mio aspetto. Le sentivo ridere tra loro alle mie spalle, sussurrarsi cose cattive all’orecchio, sparlare, ed io non capivo cosa avessi di così sbagliato, perché ero il loro bersaglio? questa domanda mi tormentava.
Ricordo di aver chiesto un giorno “ma perché non posso stare con voi?”
“Perché tu sei diversa, sei strana”. Ma non capivo cosa avessi che mi rendesse strana ai loro occhi… iniziai a guardarmi allo specchio e vedevo una ragazza minuta con occhi pieni di tristezza, confusa. Ero stata colpita improvvisamente da una strana malattia, che doveva essere infettiva, perché tutti stavano lontani da me, come se potessi contagiarli con il solo contatto. Ero stata perciò isolata e esclusa.
Questo male non era fisico, ma lo sentivo crescere dentro e ogni giorno che vivevo era
come se mi spegnessi. Perdevo colore, energie, voglia di vivere e di sorridere. Diventavo pallida, ansiosa, depressa, mi chiudevo in me stessa e parlavo poco. Avevo sbalzi d’umore incontrollati, piangevo senza apparente motivo, mi arrabbiavo per nulla, non ero più la stessa. Quel dolore mi aveva cambiata e trasformata in una ragazza fragile e instabile emotivamente. Avevo perso l’equlibrio e avevo la sensazione che sarei potuta crollare da un momento all’altro.
Il virus della cattiveria aveva provocato quel dolore, a cui sembrava non esistesse cura. Perché i professori facevano finta di niente e quando mi rivolgevo a loro mi dicevano che ero io a non saper stare allo “scherzo” e che non dovevo prendermela così tanto! Non capivano le mie parole d’aiuto e così mi chiusi nel silenzio. I professori continuavano a fare lezione, a fare il loro dovere, senza vedere questo male che prepotente si aggirava tra quell’aula. Ero invisibile e lo era anche il
male che sentivo. Niente lividi, niente segni, e quindi ero io ad immaginare tutto… eppure quella tristezza era così reale, anche se nessuno la vedeva. Ma io la sentivo e non riuscivo più a sopportarla, era troppo grande da portare.
Avrei voluto che qualcuno mi capisse, che si chiedesse perché me ne stavo in disparte, perché non studiavo, perché mi rifiutavo di parlare in pubblico, perché parlavo così poco… invece anche loro hanno sempre pensato, dentro di loro, che ero una ragazzina strana e incomprensibile, lo capivo dai loro sguardi perplessi e colmi di pietà. Pensavano avessi qualcosa che non andava, ma non indagavano, forse era il mio carattere, forse ero nata così. Ed anch’io mi convinsi che per una qualche strana ragione ereditaria ero destinata a quella solitudine, ero io ad essere nata con
qualcosa di sbagliato.
La scuola dovrebbe formare, non solamente formulare giudizi e voti, perché i ragazzi non sono da esaminare ma da aiutare. Oltre ciò che è scritto sui libri, i giovani
dovrebbero, attraverso gli insegnanti, imparare ad affrontare la vita con i giusti strumenti e ad essere forti. Invece ancora oggi troppi ragazzi tra quelle mura si
sentono imprigionati, derisi, giudicati, insultati e comandati. Si sentono fragili, perché vittime di chi vuole schiacciarli per sentirsi forte.
Invece di vivere anni formativi, vivono incubi che non riusciranno mai a dimenticare e penseranno alla scuola come al periodo più brutto della loro vita. Quindi insegnanti, è ora di svegliarsi ed aprire gli occhi, perché il bullismo esiste, non deve essere invisibile e va combattuto, perché la scuola diventi una palestra di vita, in cui non siano i più “deboli” a perdere, in cui non si usi più la violenza, ma l’ascolto, l’aiuto reciproco, la condivisione… per imparare che la diversità non va condananta, ma apprezzata e accettata!