“E se non la mangio?” ebbe il coraggio di dire.
“Se non la mangi, accetti le conseguenze” rispose Viola enigmatica.
“Che conseguenze?”
“Le conseguenze non le puoi sapere. Non le puoi mai sapere.”
Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi
Le conseguenze non le puoi mai sapere. Ma ci sono, e sono grandi. E fanno male.
Devo ringraziare la mia mente contorta perché oggi sono quella che sono. Una persona che si schiera dalla parte degli ottimisti, che sorride spesso, che è capace di scherzare delle sue disgrazie e delle sue paure, che riesce a mettersi in gioco sempre, costantemente, che ha imparato a fregarsene di quello che pensano gli altri. Perché la mia mente contorta riesce a rendere sbiadito tutto quello che non voglio ricordare in un processo freudiano che non riesco a spiegarmi. Oggi a stento ricordo gli anni passati a nascondermi, a sentirmi non accettata, diversa. I volti dei bulli distorti, confusi, quasi dimenticati.
A volte riguardo al passato, a quell’esserino spaventato e timido, incapace di mostrarsi al mondo, che subiva con tacita rassegnazione e mi chiedo cosa ne è rimasto di lei. Per molto tempo ho faticato ad accettare la me stessa di oggi, di accettare le conseguenze, rimpiangendo quella bontà, quell’ingenuità, quella timidezza perse per strada. Oggi, a 27 anni, finalmente mi piaccio, finalmente non permetto più a nessuno di giudicarmi se non a me stessa. A volte la rabbia sopraggiunge spontanea pensando a tutto il tempo che mi ci è voluto per arrivare qui. Ma poi mi dico che forse senza il bullismo non sarei stata quella che sono. Perché il bullismo ti segna profondamente, ti entra dentro la pelle e dentro la testa, ti fa arrivare ad odiare l’immagine che vedi riflessa nello specchio e tutto quello che c’è intorno.
La mia storia non è diversa dalle altre. Timidissima, incapace di guardare negli occhi gli altri, venivo presa di mira per questo. Gli uomini non sono così diversi dagli animali, come ci piacerebbe pensare. Avvertono la paura ed attaccano. Con me erano spesso i maschi ad attaccare, con le ragazze complici silenziose di quello che avveniva.
Ho solo degli stralci di quell’infanzia rubata. L’esclusione tra i banchi di scuola, dalla partita di calcio femminile, le pietre lanciate con cattiveria, quell’eco “sei un mostro” come una cantilena costante, compleanni da inferno, essere presa in giro da persone che non conoscevo ma che conoscevano me. In seconda media arrivai a chiudermi in casa; le mie amiche venivano costantemente a citofonarmi ma per me uscire era diventato un incubo. I voti peggiorarono. Persi la cognizione del tempo. Mi rifugiai nei libri. Fino a quando in terza media decisi che non ne potevo più, che dovevo uscire, che non potevo essere io quella a venire punita dalla stupidità altrui. Iniziai a truccarmi e vestirmi carina, perché a dispetto di quell’eco continua, “mostro”, io mi piacevo e non riuscivo a capacitarmi di come la mia visione poco combaciasse con quello che vedevano gli altri.
Purtroppo la mia famiglia aveva a lungo sottovalutato il problema, pensando che si trattasse di “cose tra ragazzini”. Il loro consiglio si limitava al non ti curar di loro ma guarda e passa. Purtroppo, raramente questa filosofia funziona nell’intricato mondo dei bambini, dove il non rispondere viene interpretato come sottomissione e rassegnata accettazione.
Due cose mi permisero di uscire da quel tunnel senza luce: il karate ed il teatro. Il karate mi diede la forza di ribellarmi. Solo allora, quando non accettai più di subire e stare in silenzio, i bulli la smisero. Ma forse se mia madre non fosse intervenuta, neanche allora avrebbero smesso. Il teatro, invece, mi ridiede sicurezza e mi aiutò a raccontare, a raccontarmi. Avevo qualcosa da dire in un mondo in cui il silenzio era la regola.
Le conseguenze del bullismo non le puoi mai sapere, ma ci sono e spesso ti segnano per anni. Ci ho messo tantissimo ad apprezzare la vita. Ad accettarmi. A non essere più arrabbiata. A far diventare il rituale del risveglio un piacere e non una condanna ad un’altra orribile giornata.
Ragazzi, RIBELLATEVI, non permettete agli altri di definirvi, solo voi potete avere questo potere! E soprattutto non pensate di essere soli: chiedete aiuto ai genitori, ai professori, a noi, alle associazioni: prima reagite e prima troverete il modo per uscirne e iniziare a sorridere.